Quello
che vi serve sapere: un
gruppo di terroristi mediorientali si è impadronito di un carico di plutonio
con cui medita di realizzare una bomba atomica da far esplodere negli Stati
Uniti. Amadeus Cho, il brillante ragazzo di origine coreana, definito il
settimo uomo più intelligente del pianeta, ha scoperto che il loro obiettivo è
una conferenza di pace sul Medio Oriente sponsorizzata dall’ONU. I Vendicatori
Segreti riescono a sventare l’attentato o almeno è ciò che credono finché Nomad
non rivela loro una verità decisamente crudele.
#53
A POCHI SECONDI DALLA FINE
di
Carlo Monni & Carmelo
Mobilia
South
Ferry, Manhattan.
L’uomo chiamato Nomad non poté fare a
meno di rabbrividire al pensiero di ciò che aveva appena scoperto. Aveva capito
il terrificante piano che avevano progettato i terroristi a cui lui ed i
Vendicatori Segreti stavano dando la caccia: piazzare un ordigno nucleare non
nella sede della conferenza di pace ma sulla Statua della Libertà. Aveva
dannatamente senso.
Una bomba nucleare non aveva bisogno
di essere collocata in un punto preciso per raggiungere il suo obiettivo. Non
solo la zona costiera, ma l’intera città di New York avrebbe subito danni
terrificanti. La Statua della Libertà
sarebbe stata disintegrata e così probabilmente la nave da crociera dove si
teneva la conferenza. Si sarebbe verificato un maremoto e la costa orientale
sarebbe stata colpita da uno tsunami.
Il numero delle vittime sarebbe stato
incalcolabile, e il danno all'immagine dell'America a dir poco immane. Gli
uomini che avevano attaccato la conferenza e servivano solo per attirare
l'attenzione delle autorità lontano dal loro reale obiettivo.
Un piano davvero terrificante. Non
c’era altro modo per definirlo.
<Guarda, sono pure riuscito a
prendergli la targa> ribadì Bill, il suo contatto con gli Undergrounders,[1]
orgoglioso, mostrando una seconda foto e riportando Jack alla realtà.
<Ribadisco: sei stato grande, Bill,
grande!>
Nomad corse a bordo della sua moto e chiamò
con Amadeus.
<Amadeus, sono Jack. Ho bisogno di
mettermi in contatto con Steve immediatamente!>
Il tono di Nomad non permetteva
repliche, e il giovane gli passò la chiamata.
<<Ehi Jack, ma cosa....>>
<Stammi a sentire Steve! La
conferenza è una copertura! Uno specchietto per le allodole! Il loro vero
bersaglio è Liberty Island! Quei bastardi voglio piazzare la bomba sulla Statua
della Libertà!>
Quelle parole provocarono un brivido
di terrore anche all'ex Capitan America.
<Io mi sto già recando sul posto,
voi dovete raggiungermi al più presto! Fai più in fretta che puoi!>
Conferenza
di pace, un transatlantico al largo della Baia di New York.
Steve Rogers disse solo una parola:
<Arriviamo.>
Chiuse la comunicazione e rifletté
brevemente. Quello che aveva appena riferito Nomad aveva senso. Certo, era
anche possibile che Faysal al Tariq ed i suoi complici stessero semplicemente
lasciando New York, che invece di dirigersi ai traghetti avessero preso il
tunnel per Brooklyn per poi dileguarsi chissà dove, ma, proprio come Jack, anche
Steve sentiva che non era così.
Quello che era appena accaduto alla
conferenza non lo aveva del tutto convinto: perché fare un attacco così
plateale ed inutile quando il loro uomo avrebbe semplicemente potuto attivare
la bomba ancora prima di imbarcarsi? Più ci pensava e più si convinceva che era
stato tutto un diversivo.
<Che succede Steve?> gli chiese
Donna Maria Puentes.
Steve riferì a lei ed agli altri
membri del gruppo quel che gli aveva detto Nomad.
<Ha senso, purtroppo.> commentò
Yelena Belova, la Vedova Nera.
<Non ho lavorato a lungo con Nomad,
ma mi fido del suo intuito.> disse con decisione il Soldato d’Inverno <Io
dico di muoverci prima che sia troppo tardi.>
Sempre che non lo sia già, pensò senza
dirlo.
New
York, palazzo del Daily Bugle.
L’uomo che entrò nell’ufficio di J.
Jonah Jameson ricordò all’anziano editore un pirata e non era solo per la benda
su un occhio. C’era in lui qualcosa che dava decisamente un’impressione poco
piacevole.
<La ringrazio di avermi ricevuto
Mr. Jameson.> disse con una cortesia che sembrava fasulla poi si sedette
senza attendere di essere invitato.
<Ero curioso di sapere cosa volesse
da me un funzionario della CIA.> replicò Jameson.
<In realtà è molto semplice: mi è
arrivata voce che uno dei suoi giornalisti è in possesso di una chiavetta
contenente materiale molto delicato.>
<E dunque?>
<E dunque le chiedo di
restituirmela. Il suo contenuto è materia di sicurezza nazionale e non deve
essere divulgato.>
<Sicurezza nazionale. Gente come
lei ha già provato in passato a nascondere le sue malefatte dietro il paravento
della sicurezza nazionale, con il Vietnam, il Watergate ed altro ancora. Non ha
funzionato allora e non funziona adesso con me, Mr. Rawlins. Ora può anche
andarsene.>
William Rawlins si alzò di scatto la
maschera della finta cordialità era definitivamente caduta mostrando il suo
vero io.
<Ho provato ad agire con le buone
ma ora la avverto, Jameson: se insiste a voler rendere pubblico il contenuto di
quella chiavetta, lei, i suoi direttori e quell’attraente giornalista bionda ve
ne pentirete amaramente.>
Jameson scattò in piedi urlando:
<Mi sta minacciando?> insinuò,
indispettito, Jameson <Non mi fa paura! Sono stato minacciato da gente molto
potente e sono ancora qui! I suoi tentativi di bloccare la libera stampa non
funzioneranno con me! E ora fuori dal mio ufficio!!> sbraitò, indicando la
porta.
Rawlins si limitò a rispondere con un
sogghigno ed uscì.
Jonah si risiedette. Il cuore gli
batteva forte e dovette prendere una pillola per calmarlo.
Non era un uomo coraggioso ma aveva i
suoi principi. Avrebbe dovuto avvertire Joe Robertson e Charlie Snow[2]
e soprattutto Joy Mercado del pericolo che correvano. Sarebbe stato meglio
assumere delle guardie del corpo. Chissà se Luke Cage era disponibile?
Fuori
dal Palazzo.
William Rawlins salì su un’auto che lo
stava aspettando, si sistemò sul sedile posteriore e mentre l’auto partiva
prese il telefono e fece una chiamata.
<Sono io.> disse semplicemente
<Quell’idiota di editore non ha voluto ascoltarmi. Peggio per lui. La
direttiva è semplice: quell’infernale chiavetta va recuperata e chiunque
l’abbia anche solo toccata va eliminato.>
Terminal
di South Ferry.
Nomad riuscì a rintracciare il furgone
descrittogli. La sua intuizione si era rivelata esatta: i terroristi avevano
assassinato i piloti e avevano
sequestrato il traghetto, diretti verso Liberty Island. Si tolse l’impermeabile
e si lanciò in acqua, incurante del freddo; riuscì a raggiungere l’imbarcazione
prima che questa accelerasse troppo. Si aggrappò sullo scafo e con uno sforzo
si arrampicò sopra. Non c’erano civili, ma gli uomini erano troppi, per lui
solo.
“Questo bagno non programmato ha reso
inutilizzabile il fucile e la pistola.” Pensò “Ho a disposizione soltanto due
dischi stordenti contro una squadra di soldati armati di fucili. Tattica
serpente, stavolta. Devo rimanere ad osservare aspettando il momento giusto.
Speriamo che Steve non tardi ad arrivare, altrimenti non penso di riuscire da
solo ad impedire che New York diventi un fungo atomico.” la sola prospettiva
era a dir poco inquietante e Jack Monroe non era uomo da spaventarsi facilmente.
Quinjet
dei Vendicatori Segreti.
Il Quinjet si
posò a pelo d’acqua.
Seduto al
posto del pilota Jack Flag si rivolsi ai suoi compagni di squadra che erano a
bordo del transatlantico:
<Tutti a
bordo, ragazzi. Il volo diretto per la Statua della Libertà è in partenza.>
Cercava di
nascondere il nervosismo con delle battute, ma non ingannava nessuno.
Il resto dei
Vendicatori Segreti salì rapidamente a bordo e subito dopo la chiusura del
portello il Quinjet si sollevò di nuovo in aria per poi dirigersi in volo a
tutta velocità verso la vicina Liberty Island.
A bordo
Steve si sedette accanto al pilota. Proprio in quel momento il suo comunicatore
vibrò.
La chiamata veniva
da Amadeus Cho e di sicuro non erano buone notizie.
<<I dati che ho ricavato sul peso della
valigetta che conteneva la bomba alla conferenza dimostrano inequivocabilmente che
conteneva solo una frazione del plutonio scomparso. >> disse il giovane coreano <<Il
che dimostra che Nomad deve avere ragione.>>
<Grazie Amadeus. Buon lavoro.> rispose Steve.
Una volta chiusa la comunicazione rimase silenzioso a riflettere. Al momento
non aveva modo di sapere quando i terroristi avrebbero fatto esplodere la bomba
e temeva anche lui che avrebbero potuto arrivare troppo tardi.
Alle sue
spalle, il suo vecchio compagno d’avventure James Buchanan “Bucky” Barnes, oggi
più conosciuto come Soldato d’Inverno, era immerso anche lui in pensieri
decisamente cupi.
Yelena
Belova, la Vedova Nera ufficiale della Federazione Russa, sua compagna nella
vita oltre che nel lavoro, gli strinse una mano.
<So cosa
stai pensando, ma non puoi colpevolizzarti per ciò che è successo.>
<Davvero?>
replicò lui in tono amaro <Se fossi stato più rapido ad intervenire ora
l’Ambasciatrice Haller non sarebbe in ospedale.>[3]
<Ma senza
il tuo intervento sarebbe stata uccisa da quel fanatico non dimenticarlo.>
<Anche
questo è vero...>
Yelena gli
sorrise. Era contenta di vederlo più
sollevato, ma anche lei era preoccupata. Sentiva che c’era qualcosa di
sbagliato in James negli ultimi tempi, ma non riusciva a capire cosa. Doveva
trovare un modo di scoprirlo una volta risolti questa brutta faccenda.
Liberty
Island.
Tutto procedeva perfettamente, per i
terroristi mediorientali.
Il piano ideato da Faysal Al Tariq
stava funzionando con la precisione di un orologio svizzero.
La falsa pista lasciata in
Pennsylvania, che aveva condotto gli americani alla conferenza di pace anziché al
loro reale obiettivo, aveva funzionato.[4]
Adesso potevano agire indisturbati.
Aveva avvisato i suoi uomini che stavano giungendo in elicottero per prelevarlo
una volta depositata la bomba, per farla detonare non appena si fosse messo in sicurezza. Tutto andava secondo il
piano.
Tuttavia, c’era un’ombra di
inquietudine sul suo volto, che non era sfuggita al suo socio.
<Che
cos’hai?> gli
chiese quest’ultimo.[5]
<Nulla> rispose Al Tariq.
<Non
mentirmi… inizi a nutrire qualche dubbio sulla nostra operazione?>
<No…
non, non ho dubbi, è solo che …>
<Non
ti va di uccidere tutti quei cani infedeli?>
<Di
nuovo, no… lo so che è necessario. Solo che... un ordigno nucleare? Non
potevamo utilizzare del normale esplosivo?>
<Più
grande l’esplosione, più grande sarà il danno al grande Satana, più grande sarà
la gloria per Allah.> rispose
Abdul.
Al Tariq non ribatté. Sapeva che era
inutile discutere con lui. Il suo vero nome era Dariush Gilani, ma aveva
adottato il nome di Abdul Al Rahman, che significava “Servo del più Misericordioso” in arabo, quando fu l’unico
sopravvissuto dal programma di creazione di supersoldati del governo iraniano.
Un fanatico religioso a cui Faysal si
era rivolto per vendicare la morte dei suoi genitori.
Il dolore per la loro morte lo aveva
divorato fin dalla più tenera età, e sapeva, era convinto, che fosse giusto
farla pagare all’America, che riteneva la vera responsabile.
Ma i metodi di Al Rahman erano
spietati. Non sentiva ragioni.
Il suo odio per gli Stati Uniti
superava di gran lunga quello di Faysal. Si chiedeva se il suo fanatismo fosse
dovuto alla sua fede o, come sosteneva qualcuno, che fosse diventato paranoico
dopo l’assunzione del siero del super soldato, come una sorta di effetto
collaterale… ma provare anche solo ad accennarlo in sua presenza significava
morire.
E Al Tariq non era pronto a morire.
Non in quel modo, almeno. Non prima di aver vendicato i suoi genitori.
<Presto
di quest’isola non rimarrà traccia>
disse Al Rahman, osservando la statua della libertà <e allora i nemici dell’Islam crolleranno uno a uno, come tessere
del domino> sentenziò deciso.
<Allah
Akbar>
Villa
Carter, Virginia.
Il portone
della villa si aprì e Sharon Carter entrò in quella che era stata la dimora di
famiglia per generazioni.
<Mamma!>
esclamò una bambina bionda correndole incontro.
Sharon si
chinò ad abbracciare sua figlia e la piccola Shannon disse:
<Sei
stata via tanto.>
<Ho avuto
da fare, tesoro.> le rispose, ma ora è tutto a posto.>
Ma era
davvero così? Una parte del suo cervello non ne era del tutto convinta. Lei
scacciò quel pensiero. Era stata impegnata in una missione personale e questo
era tutto. Non c’era nulla di cui preoccuparsi, assolutamente nulla.
Liberty
Island.
<Comandante, abbiamo piazzato la bomba.>
disse uno degli uomini.
<Finalmente.> disse Abdul Al Rahman
<Giusto in tempo; sta arrivando
l’elicottero>
Sul mezzo ci
sarebbero saliti soltanto lui e Al Tariq. Gli altri uomini erano destinati al
sacrificio.
<Che Allah ti abbia in gloria, fratello> gli disse.
Ma in quello
stesso momento un altro uomo gridò:
<Guardate!>
disse indicando un punto nel cielo.
Il Quinjet dei Vendicatori Segreti si
stava avvicinando in volo.
<Maledizione!> imprecò Al Tariq.
<Non preoccuparti… ero preparato a
questa eventualità, per quanto remota…> disse Abdul Al Rahman.
Dall’elicottero infatti spuntò uno dei
suoi uomini con un lanciarazzi, e lo puntò verso il Quinjet.
<ATTENZIONE!> urlò Jack Flag,
sorpreso dall’improvviso attacco.
Cercò di evitare il razzo ma non potè
impedire di venire colpito all’ala destra.
<Ci hanno colpito! Dobbiamo fare un
atterraggio d’emergenza!> disse.
<Avvicinati più che puoi alla
statua!> ordinò Steve, dopodiché abbandonò la sua postazione e nonostante
l’equilibrio precario raggiunse il portellone e si lanciò nel vuoto.
<STEVE!> gridò Donna Maria.
Perfino Bucky rimase sorpreso.
Il lancio era prevedibilmente troppo
corto, ma a mezz’aria Steve mise mano alla sua cintura, vi estrasse un rampino
che, con uno sbuffo pneumatico sparò un cavo che si agganciò ad una delle
guglie della corona della statua.
La sua coraggiosa azione non sfuggì
agli occhi di Abdul Al Rahman.
<Resta qui.> disse al suo socio,
dirigendosi di corsa verso gli ascensori all’interno della statua.
Il Quinjet fu costretto effettivamente
ad un atterraggio d’emergenza, e vederlo fumante che si allontanava fece alzare
un urlo di gioia da parte dei terroristi.
Il loro entusiasmo venne smorzato dal
copioso fumo di un razzo di segnalazione, sparato da Nomad per crearsi una
copertura. Grazie ai suoi dischi stordenti mise K.O. due dei terroristi e con
un’acrobatica capriola si tolse dalla linea di tiro di chi sparava alla cieca.
Raccolse uno dei fucili degli uomini che aveva steso, e a sua volta aprì il
fuoco verso gli assalitori. Steve non avrebbe approvato, ma in quella
situazione lui non poteva permettersi di essere clemente. C’erano in gioco milioni
di vite.
In breve riuscì ad avere la meglio su
quasi tutti i terroristi tranne Al Tariq, miracolosamente rimasto in piedi .
<Dannato bastardo, ancora tu!>
gridò Faysal <E’ la seconda volta che m’intralci. Ma non riuscirai a fermare
il nostro piano!>
<Non contarci!> rispose Nomad
digrignando i denti <Tu vuoi far saltare in aria mezza città con una fottuta
bomba atomica! Mai come ora il mio ruolo è stato ben definito! Io sono il buono
qui e tu il cattivo e cazzo, puoi giuraci che farò di tutto per fermarti!>
Nel frattempo Steve risaliva
faticosamente lungo il cavo che penzolava dalla cima della corona della Statua
della Libertà. Come se avvertisse i suoi sforzi, il vento si alzò aumentandone
le difficoltà.
Ma l’ex
Capitan America non si scoraggiò e sorretto dai suoi muscoli da supersoldato,
riuscì da issarsi fino a raggiungere la testa di Lady Liberty.
Ad attenderlo
lì sopra c’era Abdul Al Rahman, che nel frattempo aveva raggiunto anch’egli la
cima.
I due si
ritrovarono faccia a faccia, fissandosi negli occhi.
<Perché?>
domandò Steve, ben conscio di non ricevere alcuna risposta sensata.
<Per i
peccati che avete commesso. Avete inquinato il mondo con la vostra presenza per
troppo tempo.>
<Dove hai preso il siero del
supersoldato?> chiese ancora Steve.
<Ah! Credi
che solo il tuo paese possa produrlo? Tipica arroganza americana… non l’ho
preso da nessuno! E’ stato il mio paese a fornirmelo, a fare di me il simbolo
della forza del mio paese! Non i russi, non i cinesi o i coreani, ma il mio
paese! E’ il volere di Allah! Sto
eseguendo la volontà di Allah!>
<No. E’ la tua volontà. Quale Dio può volere il
sangue di numerosi innocenti?>
<Non
esistono americani innocenti> rispose Al Rahman, con malcelato disgusto.
Lo scontro tra i due fu inevitabile.
Il supersoldato iraniano era
agguerritissimo; il vedere la stella sul petto sull’uniforme di Steve gli aveva
mandato il sangue al cervello. Combatteva in modo furioso.
Ma la determinazione di Steve non era
da meno; la vita di troppe persone dipendeva da quella lotta. I due uomini non
si risparmiavano, presi da un combattimento che li impegnava entrambi come da
tempo non gli capitava.
Più sotto Nomad e Faysal Al Tariq
continuavano a battersi. Il palestinese si stava battendo bene. Non c’era da
stupirsene, dopotutto aveva ricevuto l’addestramento dello S.H.I.E.L.D., ma il Jack
Monroe era stato addestrato dal migliore in assoluto e per lui parare i colpi
del suo avversario era un gioco da ragazzi.
<Perché?> gli chiese
improvvisamente.
Non c’era bisogno di aggiungere altro.
Faysal aveva capito perfettamente.
<Il mio popolo è oppresso,
umiliato, massacrato. A nessuno importa, ma forse se proverete la vostra stessa
medicina, allora capirete.>
La rabbia ed il dolore erano evidenti
nella sua voce e Nomad ne rimase colpito. Comprendeva le emozioni del suo
avversario, ma non poteva comunque giustificare le sue azioni.
Lo fissò negli occhi e replicò:
<Credi davvero che la morte di
centinaia di migliaia, forse milioni di persone innocenti che nulla hanno a che
fare con il massacro della tua gente ti farà sentire meglio? È quello che i
tuoi cari avrebbero voluto?>
Le parole di Nomad sembrarono
colpirono Faysal incrinando il muro delle sue convinzioni.
<Io…> balbettò.
Steve Rogers avrebbe probabilmente
cercato di convincerlo a desistere e forse ci sarebbe anche riuscito, ma Jack
Monroe non era lui e non poteva permettersi di correre rischi.
Vide una crepa nelle difese del suo
avversario e ne approfittò senza esitare. Gli sferrò un calcio al mento e prima
che potesse riprendersi lo colpì con un pugno e poi un altro e un altro ancora
finché non cessò di muoversi ,
<Mi dispiace.> mormorò Nomad in
tono sincero.
Si chinò su Faysal e
lo perquisì, ma non gli trovò
addosso il detonatore. Intuì che ce l’aveva. Abdul Al Rahman. Tutto era nelle
mani di Steve adesso.
In cima alla
Statua della Libertà lo scontro tra il supersoldato americano e quello iraniano
era arrivato ad uno stallo.
Nonostante
tutti i suoi sforzi Dariush
Gilani non riusciva a prevalere sul suo avversario. Doveva ammettere che era in
gamba anche se era un infedele americano. Era anche lui un supersoldato, era
evidente ed in circostanze diverse sarebbe stato interessante vedere chi di dei
due era il migliore, ma in questo momento la causa era più importante di tutto
il resto.
Con un balzo si allontanò dal suo
nemico ed estrasse dalla cintura un piccolo oggetto.
Steve capì immediatamente cos’era: il
detonatore del maledetto ordigno nucleare.
<Non farlo!>
<Troppo tardi.> replicò Abdul Al
Rahman <Io sono pronto a fare
l’estremo sacrificio e tu non puoi
impedirmelo.>
Steve non
perse tempo a replicare e lanciò uno dei suoi shuriken Aveva pochissime
probabilità di riuscire, ma dopotutto che aveva da perdere?
Il
detonatore saltò dalle mani di Abdul Al Rahman prima che potesse azionarlo.
<No!>
urlò l’iraniano.
Sia lui che
Steve scattarono tentando di afferrare il detonatore al volo, ma fu l’americano
a riuscirci.
Entrambi
persero l’equilibrio e caddero dalla statua.
Steve fece
scattare un robusto cavo che si attaccò ad uno dei raggi della corona, ma Abdul
Al Rahman non aveva nulla del genere.
Steve lo
osservò precipitare e piombare in acqua. Se ne avesse avuto la possibilità
avrebbe cercato di salvarlo. Mentre risaliva al sicuro rifletté ancora una volta su cosa lo distinguesse dal
suo nemico e la risposta era evidente: lui avrebbe dato senza esitazioni la
vita per ciò in cui credeva, ma mai avrebbe provocato la morte di innocenti in
nome dei suoi ideali.
Dariush Gilani aveva scelto come nome
di battaglia Abdul Al Rahman che in Arabo significava “Servo del Più
Misericordioso”, ossia di Dio, senza capire che ciò che gli mancava era proprio
la misericordia.
Un destino comune a molti fanatici.
Poco tempo dopo.
I terroristi
vennero tutti arrestati. Se ne sarebbe occupata la task force congiunta
antiterrorismo tra la polizia di New York e le agenzie federali. Faysal Al Tariq
fu invece preso in custodia dallo S.H.I.E.L.D.
<Mi
auguro che vengano tutti trattati con giustizia.> disse l’ex Sentinella
della Libertà.
<Sei
davvero unico, Steve.> gli replicò il Soldato d’Inverno <Ti preoccupi per
la sorte di quelli che ti avrebbero voluto morto assieme a tutta la popolazione
di New York.>
<Cercare
la giustizia e non la vendetta, Bucky, è una delle cose che dovrebbero renderci
migliori dei nostri avversari.> replicò Steve <Quando la giustizia è sostituita
dall’arbitrio nessuno è al sicuro.>
Bucky Barnes
annuì silenziosamente.
Un uomo dai
capelli bianchi che
indossava un impeccabile completo gessato scuro, una camicia bianchissima ed
una cravatta con i colori di una qualche università prestigiosa venne verso di loro. Era Roger Nelson agente dello
S.H.I.E.L.D. con il grado di Supervisore,
lo stesso che avevano incontrato alla Conferenza.[6]
<Avete
fatto un ottimo lavoro.> disse <Abbiamo recuperato tutto il plutonio
rimasto. Il corpo di Abdul Al Rahman non
è ancora stato ripescato, ma non può certo essere sopravvissuto ad una caduta
simile.>
<Non ne
sarei così sicuro al suo posto.> ribatté Steve <Ho una lunga lista di
nemici che sono sopravvissuti a quella che sembrava una morte certa. Non sarei
affatto sorpreso se un giorno o l’altro sentissimo di nuovo parlare di lui.>
Nelson non
replicò.
EPILOGO
UNO
Base dei
Vendicatori Segreti.
Quando
tornarono alla base, la squadra aveva ancora l'adrenalina in circolo.
Questa
volta se l'erano vista veramente brutta. I terroristi gliela avevano quasi
fatta.
<Dio, Io
ho il cuore che batte come un assolo di Dave Grohl, e non accenna a fermarsi!
Ma come fate voialtri a fare questo mestiere da tutto questo tempo?> chiese
Jack Flag, togliendosi la maschera e passandosi le mani tra I capelli.
<Perchè se
non facessimo questo mestiere, pazzi come quelli di stasera la farebbero
franca.> gli rispose Donna Maria
<Stavolta
ce la siamo vista davvero brutta però> intervenne Amadeus <Nonostante
tutta questa attrezzatura da milioni di dollari, ci siamo fatti fregare. Se non
fosse stato per Nomad e I suoi contatti… Dio, tremo solo all'idea di cosa
poteva succedere.>
<Hai
ragione. Senza di te non l'avremmo mai scampata, Jack> osservò Donna Maria,
poggiandogli una mano sulla spalla.
<Forse.
Ma io senza di voi avrei fatto ben poco. Mi sarebbero sfuggiti un’altra
volta.>
Soltanto
Bucky non partecipava alla discussione. Se Nomad era stato fondamentale nella
riuscita della missione, lui stava per mandarla a monte.
Rimase in
silenzio, maledicendosi per il suo errore.
Un errore
che poteva costare delle vite.
Tirò un
pugno al muro, per sfogare la propria frustrazione.
Yelena gli
si avvicinò.
<James,
non essere così duro. A volte anche ai migliori capita di sbagliare.>
<Risparmiamelo,
ti prego.> tagliò corto il Soldato d'Inverno, allontanandosi da solo.
Yelena non
lo seguì.
Steve vide
la scena ma non disse niente. Avrebbe lasciato che Buck si sfogasse, prima di
intervenire.
Ora c'era
un altro partner di cui doversi occupare.
<Sono
d'accordo con Donna Maria e i ragazzi. Il tuo contributo è stato fondamentale,
Nomad. Senza il tuo intervento non avremmo mai sventato questo attentato. E' l'ennesima
dimostrazione della tua abilità. Non che ce ne fosse bisogno, per quanto mi
riguarda.>
L'elogio di
Steve riempì il cuore di Jack Monroe, ma al suo solito il ragazzo cercò di
contenere l'emozione.
<Ti
ringrazio, Steve.> si limitò a rispondere.
<Jack,
al di là delle nostre divergenze, è evidente che lavoriamo bene insieme. C'era
ancora posto per te nella squadra, se vuoi. Il vecchio motto “una volta
Vendicatore, per sempre Vendicatore” vale anche per noi.>
<Sono
lusingato, davvero, ma passo. Sebbene sia tentato, non lo nego, anche oggi ho
dimostrato che lavoro meglio seguendo il mio istinto piuttosto che degli
ordini.>
Steve
abbozzò un sorriso.
<Temevo
una risposta del genere. Ho comunque un regalo per te.>
<Che
regalo?> domandò Jack.
<Seguimi.>
Steve lo
condusse nel garage.
<Ehi, lo
riconosco. E' il tuo vecchio furgone.>
<Ora è
il TUO furgone.>
<Cosa?>
esclamò Jack, sorpreso.
<Tecnologia
wakandana. Mi fu donato dalla Pantera Nera. E' antiproiettile, può cambiare
quattro tipi di colore, ed è dotato di un computer satellitare, con il quale ci
puoi contattare qualora ne avessi bisogno. Sul retro c'è una brandina e
abbastanza spazio per farci stare la moto. E' perfetto per uno che si fa
chiamare Nomad, non credi?>
<Steve
io... non so davvero cosa dire. Grazie.>
<Abbi
cura di te, amico mio.> rispose, stringendogli la mano.
EPILOGO
2
Red
Hook, Brooklyn, New York, qualche
notte dopo.
Bucky Barnes
si alzò dal letto e si vestì con il suo costume da Soldato d’Inverno. Compì
ogni meccanicamente come se fosse in
trance. Uscì dalla stanza senza
guardarsi indietro.
Se lo avesse
fatto si sarebbe accorto che anche Yelena Belova, che era sdraiata nello stesso
letto, si era svegliata.
I suoi dubbi
peggiori avevano trovato conferma: c’era qualcosa che non andava in Bucky e non
era solo il senso di colpa per gli errori commessi nelle ultime missioni.
Sembrava
come se fosse ipnotizzato, ma da chi e perché?
Yelena indossò
rapidamente il suo costume da Vedova Nera e fu pronta a seguirlo.
Non sapeva
cosa stesse succedendo, ma aveva dei brutti presentimenti.
Non avrebbe
lasciato solo l’uomo che amava.
FINE?
NOTE
DEGLI AUTORI
Anche stavolta poco o nulla da segnalare:
1)
L’Agente dello
S.H.I.E.L.D. Nelson è stato creato da Jack Kirby su Captain America Vol. 1*
#207 datato marzo 1987. Il grado di Supervisore ed il nome Roger sono aggiunte
di Carlo Monni.
2)
Gli Undergrounders
/Clandestini, sono la rete d'informatori di Nomad sparsa per gli USA e sono
stati creati da Fabian Nicieza & S.
Clarke Hawkbaker su Nomad Vol. 2° #3 datato luglio 1992.
3)
Il furgone che
Steve Rogers dona a Nomad è lo stesso che lui usava quando era Capitan America
ed è apparso per la prima volta su Captain America #318 datato giugno 1986 ad
opera di Mark Gruenwald & Paul Neary.
4)
Nota di
continuity: gli eventi di questa storia sono precedenti a quelli di Lethal
Honey #30/31, Justice Inc. #29 e Nick Fury #26,,in cui compare Yelena Belova,
ad eccezione dell’Epilogo 2 che su svolge subito dopo.
Nel prossimo episodio qual è il segreto del
killer emulatore del Soldato d’Inverno? La risposta non vi piacerà. In più: il
piano del Teschio Rosso ed un nuovo incarico per la squadra di Sharon Carter.
Carlo &
Carmelo